Riferendosi ad un vuoto progettuale di almeno 50 anni (con genesi nella dialettica tra Adorno e Benjamin degli anni Trenta, fino alla musica concettuale di John Cage di metà Novecento e agli esiti ultimi di Philip Glass), Andrea Branzi riconferma in questo saggio la propria posizione di sovvertitore delle logiche concettuali e spaziali del progetto: come fenomeno “inatteso”, la Musica contemporanea genera nuovi prototipi urbani, compositivi, cognitivi inaspettati.
L’inatteso, nello specifico, non è solo la musica come generativa di un nuovo layer urbano, ma è una terza via di pensiero sullo spazio in toto. Spazio che viene disassato dalle logiche compositive visive e oggettuali tipiche della modernità, matrice di una prassi monodirezionata, verso una dimensione più aperta, orizzontale, sensoriale: una nuova esperienza intellettuale e di immaginazione.