All’indomani della guerra e durante la fase di modernizzazione del Paese, anche a Napoli, come a Roma e Milano, si affacciano e si consolidano nuove forme dell’abitare. Tra queste nuove forme il condominio occupa un posto speciale, condensando istanze, esigenze e aspirazioni di una borghesia urbana in ascesa e alla ricerca di un’immagine adeguata al proprio ruolo sociale ed economico nella neonata Repubblica. Nel volume Chiara Ingrosso ripercorre le vicende edilizie partenopee, in questo momento cruciale della storia italiana, intrecciando la storia urbana e quella architettonica attraverso una narrazione avvincente che attinge per lo più ad archivi privati, arrivando a tratteggiare inediti e molteplici modelli di abitare della middle-class napoletana. Il “laurismo” e “le mani sulla città” vengono così riletti all’interno di una narrazione più complessa, in cui entrano in gioco fattori di “lunga durata” e di carattere nazionale, restituendo l’immagine di una modernità napoletana peculiare e non scevra da contraddizioni. In questo panorama spiccano le opere di alcuni tra i protagonisti della scena architettonica di quel periodo: Michele Capobianco, Stefania Filo Speziale, Francesco Di Salvo, Renato Avolio De Martino, Carlo Cocchia, Giulio De Luca e altri ancora. Il legame tra le loro architetture e la città è forte e profondo, un legame fatto di continui richiami alla storia e alla particolare orografia del luogo e che si esprime in dettagli e rimandi sottili alla tradizione, tracciando una sorta di via napoletana al razionalismo architettonico.
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