In un mondo che non si scandalizza più del ricorsivo dominio della natura sulla cultura, e pensa alla “fine” come condizione di vulnerabilità universale che accomuna umani e non-umani, la morte si offre quale grande opportunità per escogitare strategie di vita e di progetto, atte a costruire relazioni carnali, empatiche tra simili e tra estranei. Riti, sepolcri e resti dell’umano definiscono tre distinte dimensioni dello spazio per la morte, mutate nel tempo in funzione dello scambio simbolico tra vivi e morti. Nel presente, mentre pratiche, tecniche e tecnologie, con il sovvertimento della gerarchia tra permanenza e impermanenza, preannunciano la drastica riduzione delle architetture per la memoria, le comunità della non-appartenenza chiedono con sempre maggiore insistenza spazi civili dove ritualizzare e celebrare il commiato. Con lo scopo di posare lo sguardo su una zona d’ombra, una “domanda di architettura” inedita, remissiva seppur emergente, questo libro tenta di abbozzare un primo affresco di riflessioni teoriche e visioni progettuali sulla morte post-secolare.
Con contributi di: Stefano Catucci, Felice Cimatti, Stefano Colavita, Giovanni Corbellini, Niccolò di Virgilio, Mariacristina D’Oria, Marcello Massenzio
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