La ruralità è una condizione al tempo stesso delimitata e sconfinata, attiva e ricettiva, prodotta e produttiva, pacificata e conflittuale. Rendere esplicita la consistenza politica e ontologica del rurale, significa ridefinire i modi attraverso i quali, come architetti e urbanisti, ci confrontiamo con questa particolare dimensione operativa. Il rurale è un luogo spesso concepito come spazio da addomesticare, da proteggere, da sfruttare o da far fruttare: uno spazio subalterno. È tempo allora di politicizzare il nostro pensiero sul rurale, di decoloniarne il senso e il progetto, mettendo in discussione i tanti immaginari e approcci teorici, quasi sempre semplificanti, cioè ossificanti, attraverso cui oggi è pensato. Ciò che si cerca è una tensione cognitiva volta ad individuare e porre in relazione una complessa e spesso opaca varietà di ecologie sociali e spaziali al di fuori di qualsiasi operazione. Decolonizzare il pensiero rurale, significa farlo vibrare costantemente, dal momento che in campagna, più che altrove, il potere è ortopedico.