Berlin transfert è un esperimento aperto. Un architetto attivo oggi a Berlino legge il lavoro di alcuni colleghi cittadini che trova intrigante. L’operazione può essere letta come un transfert sui generis rispetto alla forma di architettura perché generata dal confronto esplicito con tutti i non detti latenti nel loro lavoro di cui cerca di chiarirne il significato culturale non esplicitato o per evidenziarne le potenzialità ancora inespresse, secondo il modello della filosofia di Feuerbach che considerava la filosofia stessa null’altro che la capacità di sviluppare e rielaborare idee prodotte da chi lo aveva preceduto. Il transfert ha inoltre generato un atlante di idee estetiche che aspira a fornire una nuova forma di vita per la forma di architettura, rinnovandola. Nè il transfert né l’atlante sono stati programmati dall’autore a cui non rimane altra scelta, per poter continuare a svolgere la professione, se non quella di rendere l’operazione manifesta per liberarsi dei fantasmi e del pathos warburghiano delle immagini che rimangono i veri burattinai romantici, e in disturbabili, dell’operazione svolta. Quest’ultima rivela un urgenza non più procrastinabile: quella di discutere la necessità per la forma di architettura contemporanea di ospitare al suo interno diverse temporalità per essere in ritardo all’appuntamento con l’ideologia e la retorica del momento, ma puntuale all’unico appuntamento importante per sé stessa: prescindere dagli stili per dialogare con il tempo attraverso arabeschi di forme temporalizzate capaci di offrire una testimonianza sulla questione del tempo. Una testimonianza capace di riappropriarsi senza mimetismi delle rovine della storia, che vivono nel kairos e non nel kronos.
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